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La parola fibula in latino indica precisamente la fibbia o spilla, composta da un corpo o arco (solitamente la parte decorata), una molla o cerniera da cui parte un ago o ardiglione che va ad incastrarsi in una staffa o piede. La tecnica di lavorazione più utilizzata per realizzare questi oggetti, era la colatura all’interno della forma di fusione del corpo, dalle cui estremità si dipartivano due filamenti: uno appiattito e ripiegato che serviva a realizzare la staffa, l’altro, più lungo, creava la molla, che garantiva la mobilità dell’oggetto, e l’ago, che serviva per la chiusura dentro la staffa. Dopo la fusione e il raffreddamento, avveniva la lavorazione a freddo, tramite martellature alternate a ricotture, per poi arrivare alla finale decorazione del corpo. Risulta evidente come ognuno di questi momenti della lavorazione richiedesse grande perizia.

A partire dall’Età del Bronzo, in particolare poi nell’Età del Ferro e nel periodo romano, la fibula ha avuto una grande diffusione come oggetto funzionale (chiudere eventuali aperture di un qualsiasi abito o trattenere sopra le vesti mantelli, cappe e simili) e come ornamento assieme ad armille (bracciali), spilloni per capelli, collane, orecchini e pendenti vari seguendo le mode del tempo. La fibula quindi, diventerà anche uno status symbol, un oggetto portatore di significati rituali e sociali, che veniva utilizzato da tutti indipendentemente dal sesso e dall’età. Vengono prevalentemente ritrovate in corredi funerari, deposte con gli altri oggetti del defunto in sepolture ad incinarazione sia allacciate agli abiti (parte deperita) in sepolture ad inumazione, delle quali si può anche dedurre la posizione delle fibule rispetto all’abbigliamento.

Sarà infatti da contesti funerari che deriva il ritrovamento delle varie fibule presenti nella prima sala della cosiddetta “manica di raccordo” del Museo Leone, provenienti da territori differenti riconducibili all’Italia del sud, la cui maggior parte dei reperti archeologici deriva.

Le fibule presenti in museo sono varie, per lo più in bronzo. Si possono riconoscere due tipologie principali: a navicella, a forma di mezzaluna aperte all’interno, molto sottili; a sanguisuga, dalla forma rigonfia simile appunto ad una sanguisuga.

La moda delle fibule, se così la vogliamo considerare, si protrae fino ai nostri giorni, evolvendosi secolo per secolo, di materiale in materiale, seguendo stile e gusti di ogni periodo storico, arrivando a detenere in ogni classe sociale un’importanza ornamentale elevata.

La fibula diventa spilla, indossata come un vero e proprio gioiello da dame e cavalieri, un arricchimento della propria persona, posta su abiti, scarpe e cappelli a seconda dell’estetica del periodo. Per esempio alla corte del Re Sole (Luigi XIV), era in voga arricchire i propri cappelli con spille dorate impreziosite da pietre a motivi per lo più geometrici, e ciò verrà portato avanti fino all’inizio dell’800, secolo di forti mutazioni dello stile e del costume.

Appunto verso la metà dell’800 ritorna in auge il concetto di fibula, con la “Spilla di Sicurezza” o meglio conosciuta come Spilla da Balia. Reinvenzione di Walter Hunt del 1849, di uno spillone in acciaio che serviva a balie e madri per chiudere i pannolini della propria prole, e da ciò ne deriva il proprio nome.

Da questa “invenzione” in avanti, fino ai giorni nostri, la spilla si è evoluta nelle forme e nei materiali, diventando un ornamento allo stato puro, una sorta di accortezza che non rappresenta più un elemento utile per la manifattura di un abito, ma invece un oggetto che identifica la ricercatezza di uno stile più che di un singolo capo d’abbigliamento.